Namasté
"Rituale ai libri sacri"
Storie di Bhagavan Sri Ramana Maharshi"Rituale ai libri sacri"Una volta Muruganar , un grande devoto di Ramana entrò nella "Sala Vecchia” (la sala dove era solito sedere Ramana a dare satsang).Prostrandosi a Bhagavan, notò che erano state fatte delle puja, (offerte, rituali) ad alcuni libri sacri accuratamente impilati, decorati e posti di fronte a Bhagavan, vicino al divano.Era il giorno di Saraswathi Puja in cui si celebra Saraswathi, la dea della conoscenza.Lo sguardo di Muruganar si posò sui libri inghirlandati e poi sul Maestro, che era beatamente seduto. Il suo volto, si aprì in un sorriso divertito, davanti al quale Bhagavan fece un gesto interrogativo.La relazione che Muruganar aveva con Bhagavan era unica:egli sapeva di essere alla presenza della realtà vestita di forma umana,a disposizione di tutti, in quanto guida spirituale.Contenendo a stento il suo divertimento, esclamò:"Bhagavan! Aver offerto delle puja a dei libri sacri in vostra presenza mi fa sorridere.Immaginate che una certa quantità della migliore qualità di canna da zucchero venisse spremuta e dal suo succo venisse estratto zucchero cristallino del più puro con il quale venisse fatta una forma umana.Ora, immaginate da una parte la superba forma umana costituita di questo zucchero prelibato e, dall'altra, lo scarto della canna da zucchero!Bhagavan, voi siete l'essenza della verità!Questi libri, per quanto sacri possano essere, sono esattamente come i rifiuti della canna da zucchero.Hanno offerto delle puja alle canne senza succo, mentre la forma di zucchero più pura,‘VOI’è seduta proprio qui!".Dicendo questo Muruganar risee Bhagavan ricambiò con una risata di cuore.
"Bhagavan e l'uovo rotto"
Storie di Bhagavan Sri Ramana Maharshi"Bhagavan e l'uovo rotto"Quando si tratta di animali bisognosi, la maggior parte delle persone è felice di lasciare che la natura faccia il suo corso, e nei casi in cui venga avvertita una genuina compassione per un animale in difficoltà, l’intenzione di intervenire a suo favore spesso non è sufficiente a spronare la volontà della persona e a spingerla in azioni efficaci. Ma l'amore incommensurabile di Bhagavan, al contrario, lo spingeva a compiere grandi sforzi per liberare le creature da circostanze minacciose.
"Bhagavan e i calabroni"
Storie di Bhagavan Sri Ramana Maharshi"Bhagavan e i calabroni"Una volta, Suri Nagamma chiese a Bhagavan se fosse salito su per la collina dopo aver visto la foglia del banyan ( leggendario albero banyan) e se, in quella occasione, fosse stato punto dai calabroni.Così Bhagavan raccontò l'episodio dell’albero del banyan e dei calabroni:“Una mattina uscii, involontariamente, dalla grotta di Virupaksha e andai in giro per la collina, quando mi ritrovai a risalire una scorciatoia tra il tempio di Panchamukha e quello di Pachaiamman.C'era un’immensa foresta.Durante il cammino, vidi sul mio sentiero un’enorme foglia di banyan: era grande come la foglia che, legata ad altre foglie, viene usata per poi mangiare il cibo.Appena la vidi ricordai lo sloka presente nell’Arunachala Puranam, in cui vi è una descrizione dell’albero del banyan ai piedi del quale viveva lo Yogi Arunagiri ( Arunagiri Yogi è considerato Shiva che siede sotto il leggendario banyan su Arunachala).“Di quale sloka si tratta?”, chiese un devoto. A quel punto, Bhagavan rivelò lo sloka che, tradotto, recita come segue:“Sul pendio settentrionale della collina di Arunachalavi è un grande albero del banyan,la cui ombra è ampia e rotonda.L'albero, che cattura l'occhio degli dèicome pure quello degli esseri umani,è ammirato, con stupore, dalle divinitàcosì come dagli esseri umani.Si ritiene che, il Signore Siva,sia seduto eternamente sotto questo albero del banyan,nella forma di un ‘Siddha’chiamato Arunagiri Yogi”.Dopo aver recitato questi versi Bhagavan continuò:“Non appena ricordai questo sloka, pensai che la foglia provenisse da quell’albero del banyan e sentii che avrei potuto vederlo se solo fossi andato lungo la direzione da cui proveniva la foglia.Iniziai ad arrampicarmi ancora più in alto, fino a che vidi un albero, in un punto elevato della collina.Mentre mi avvicinavo, la mia coscia urtò contro un cespuglio e, in seguito al disturbo causato, alcuni calabroni uscirono ed iniziarono a pungermi.Pensai di aver commesso un errore (avevo disturbato i calabroni) e che quella fosse la punizione.Convinto di ciò, mi fermai.Gli insetti non mi punsero in nessun altro posto se non sulla coscia che aveva toccato il cespuglio, e lo fecero con piena soddisfazione. Quando se ne andarono, ripresi a camminare. Stranamente, mi dimenticai del tutto dell’albero del banyan e mi diressi verso il luogo delle sette sorgenti. Nel mezzo, però, vi erano tre grandi corsi d’acqua che erano fra l’altro molto profondi. In qualche modo, riuscii ad attraversarli e a raggiungere le sette sorgenti, nonostante la coscia si stesse gonfiando e fosse dolente. Da lì cominciai a scendere la collina e, arrivata la sera, raggiunsi la grotta di Jataswami. Una volta arrivato, mi offrirono una ciotola piena di frutta mista, burro di latte e zucchero, era dolce come il nettare amritha.Fino a quel momento non avevo mangiato nulla, quindi bevvi tutto e riposai un po'.Dopo um pò, mi recai alla grotta di Virupaksha e trascorsi lì la notte. La gamba diventava sempre più gonfia, tuttavia, né Jataswami né gli altri la notarono, tranne Pulani Swami che, appena la vide, esclamò:“Cosa Ti è successo?”.Gli raccontai dell’accaduto.Il giorno dopo, mentre spargeva sulla gamba un po’ di olio di gingilli, si accorse che, in ogni singola parte in cui ero stato punto, c’era una spina grande come un chiodo. A fatica le tolse tutte, applicò un medicamento ed il gonfiore si riassorbì nell’arco di due, tre giorni.Suri Nagamma chiese a Bhagavan,“Bhagavan, in seguito, non fece nessuno sforzo per seguire le tracce dell’albero del banyan?”.Bhagavan replicò: “No, quel pensiero non tornò più”.Negli anni successivi, Bhagavan raccontò questo episodio diverse volte, così che molti suoi devoti come Kunjuswami, Venkataramaiah, Muruganar e altri andarono alla ricerca del grande albero del banyan, ma tornarono delusi. Dovettero sopportare molte difficoltà, poiché spesso perdevano le tracce del sentiero, ma per grazia di Bhagavan, ritornarono tutti all’ashram, al sicuro.Anni dopo, quando Muruganar sentì Bhagavan raccontare questa storia, scrisse una domanda in versi:“Non avendo notatoun cespuglio fioritodalle foglie verdi,e calpestandolo inavvertitamente,venne punto dai calabronifino ad uscirnecon le gambe gonfie.Venkata (Bhagavan), in verità,perché un'intrusione accidentaleè stata trattata senza pietà,come una violenta trasgressione? “Bhagavan rispose allo stesso modo in versi:“Da calabroni in vendettafui punto sulla gamba,finché non si infiammò;ho calpestato,seppure senza volerlo,il loro vespaio,costruito in un cespuglio di foglie;che mente sarebbe maiquella di colui che non si pentedi aver commesso un simile errore?”
La scimmia immersa in meditazione
Ai tempi in cui Bhagavan viveva nella grotta di Virupaksha, un branco di scimmie era solito fargli visita e sedersi all’ombra di un grande albero di fronte alla caverna. Si allisciavano, a vicenda, per ore, al suo cospetto, altre volte, invece, gli si sedevano davanti senza muoversi, assorbite nel silenzio, come se fossero in profonda meditazione.Spesso Bhagavan interagiva allegramente con le sue amate compagne e in talune occasioni perfino le prendeva in giro.Una volta, si avvicinò un branco di scimmie e si sedettero in silenzio e tranquillità di fronte a Bhagavan, come se stessero meditando.Bhagavan gioiva di quello spettacolo e ammirava la loro concentrazione, tuttavia non poté mancare l’occasione di prendersi gioco di loro.Così esclamò con tono provocatorio:"Hei! Siete sedute in samadhi davanti a me?Molto bene!Fatemi vedere ora quanto tempo siete capaci di rimanere così?".Non appena finì di parlare, una scimmia cominciò a dimenarsi ed aprì gli occhi, non riuscendo più a stare seduta.Bhagavan la guardò e disse:"Hei tu, amica!Dove stai andando?Quale regno hai da conquistare?Siediti quieta.Fammi vedere!".Alle parole di Bhagavan, la scimmia divenne silenziosa e cadde in uno stato di pace assoluta.Si sedette e tornò di nuovo in profondo assorbimento,senza più nemmeno il minimo movimento!
L’insetto salvato
Questo episodio fu narrato da Sivananda Swami, attendente di Bhagavan, ad un altro devoto Sivaraman.Dimostra quanto Bhagavan fosse osservatore acuto e profondamente compassionevole.Sivananda Swami narra:“Una mattina, verso le 10, Bhagavan era di ritorno dalla visita alle stalle.Mi trovavo con lui.Quando passò vicino al pozzo, che era di fronte alla sala di meditazione,notò uno strano suono provenire da lì: era simile al battito d’ali di un uccello o di un grande insetto che si agitava nell’acqua.Bhagavan si fermò immobile, guardò nel pozzo, e vi trovò un insetto dalle lunghe ali. Così, si rivolse a Sivananda Swami: ‘Per favore, assicurati se sta battendo giocosamente le ali nell’acqua oppure se si sta dimenando per non annegare.Nel primo caso, non disturbarlo; nel secondo, aiutalo ad uscire presto dall’acqua’.Notando che era in difficoltà, raggiunsi l’insetto con una lunga canna di bamboo, vi salì sopra, uscì fuori dall’acqua e fu salvo.Volò via pieno di gioia!”.
L'elefante e la catena
Quando un devoto si lamentò della sua mente agitata, Bhagavan rispose:“Tutti si lamentano dell’irrequietezza della propria mente. Lasciate che la mente venga trovata e poi giungerà la conoscenza. Certo, quando uno si siede in meditazione, i pensieri si affollano a dozzine. La mente non è altro che un fascio di pensieri e ogni tentativo di abbattere la barriera dei pensieri è destinato a fallire. Se uno riesce, attraverso qualsiasi mezzo, a dimorare nel Sé è un’ottima cosa; per chi invece non è in grado di farlo, si consiglia la ripetizione del Nome o la meditazione (Japa o Dhyana, rispettivamente).È come dare ad un elefante un pezzo di catena da tenere con la proboscide. Solitamente un elefante non tiene mai ferma la sua proboscide e, quando viene portato fuori, per le strade della città, la sposta ovunque. Se, tuttavia, gli viene data una catena da tenere, allora l’irrequietezza viene frenata. Ugualmente accade con la mente agitata: se è occupata nel Japa o Dhyana, gli altri pensieri vengono respinti. La mente si concentra su un solo pensiero e trova così la pace. Questo non significa che la pace si può conseguire senza uno sforzo prolungato: tutti gli altri pensieri devono essere combattuti".
Anche gli alberi sentono dolore
La compassione e la benevolenza di Bhagavan si estendeva anche al regno vegetale.C’era un albero di mandorle sul lato nord della sala di Bhagavan.Un devoto chiese ad un operaio di potarlo, ripulendolo dalle foglie morte che sarebbero state utili per adornare le pietanze. L’uomo iniziò a tagliarle con una roncola, ma in maniera indiscriminata, a destra e a manca.Alla vista di ciò, Bhagavan trasalì ed esclamò:“Hei! Che stai facendo? Stai torturando quest’albero. Non sai che gli alberi sono esseri viventi?”.L’operaio replicò che aveva ricevuto ordini da un devoto di tagliare le foglie secche, ma Bhagavan continuò ad ammonirlo: “Voi, gente, non sapete fare nulla senza causare dolore. Immagina se, all’improvviso, afferrassi e tirassi i tuoi capelli. Essi non hanno vita, eppure tu sentiresti quello che sto facendo. Meglio che lasci questo povero albero da solo e te ne vai altrove!”.Una volta, di notte, Bhagavan vide qualcuno tagliare un ramoscello di un albero del neem, per usarlo, il giorno dopo, come spazzolino da denti.Bhagavan gli domandò:“Perché non lasci dormire quest’albero in pace? Potrai prendere il tuo ramo domani. Perché non avere un minimo di buon senso e compassione? Un albero non può urlare, né tantomeno mordere o correre via, ma questo non autorizza chiunque a fare qualsiasi cosa ad un albero”.
Inaugurazione dello Stupa dell’Illuminazione
Gli Stupa sono monumenti per la pace nel mondo. Tramite la loro forma perfetta, queste strutture esprimono la natura della mente risvegliata: l’illuminazione. Lo Stupa simboleggia la mente del Buddha e la comunità dei meditanti: il Sangha.Luogo ideale per meditare e realizzare la propria natura.Ché ogni benedizione possa inondare il cuore e le vite di ognuno di noi.
Lo scoiattolino dispettoso. La punizione per un’azione errata
Una volta, uno scoiattolo birichino e irrequieto morse un dito della mano di Bhagavan. Questo insolito animaletto non voleva prendere le noccioline dalla ciotola, ma insisteva per essere imboccato sempre da Bhagavan.Un giorno, lo scoiattolo tornò come al solito per la sua razione di noccioline. Bhagavan era impegnato a leggere e mentre leggeva gli dava le noccioline. Il tutto un pò più a rilento. Irritato forse per questo rallentamento, lo scoiattolo all’improvviso, morse un dito di Bhagavan. Allora Bhagavan non gli dette più nessuna nocciolina e divertito, esclamò: “Sei una creatura cattiva! Hai morso il mio dito! Non ti darò più da mangiare, vai via!”. Detto ciò, smise di imboccare lo scoiattolo per qualche giorno, punendolo così per la sua impazienza e impertinenza.Da allora iniziò una disputa quotidiana tra Bhagavan e lo scoiattolo, il quale non riusciva a rimanere quieto. Infilandosi di qua e di là, implorava il perdono di Bhagavan, che invece lasciava le noccioline sul davanzale della finestra e sul divano, invitandolo a servirsi pure da sé. Ma lo scoiattolo neanche si avvicinava al cibo, mentre Bhagavan fingeva di essere indifferente e incurante. Nonostante questo, lo scoiattolo saliva lungo le gambe di Bhagavan, saltava sul suo corpo, si arrampicava fino alle spalle e ne faceva di tutti i colori, nel tentativo di attrarre la sua attenzione. Alla fine Bhagavan si rivolse ai suoi devoti e disse:“Guardate questo scoiattolino! Mi sta supplicando di perdonarlo, per il dispetto che mi ha fatto dandomi un morsetto al dito perché mi ero distratto e non gli avevo dato le noccioline come al solito dalle mie mani e velocemente.”Per qualche giorno, Bhagavan continuò ad allontanare lo scoiattolo dicendogli, ‘Cattivo! Perché hai morso il mio dito? Per ora non ti darò più da mangiare con le mie mani. Questa è la tua punizione. Guarda, le noccioline, sono lì. Mangiale pure tutte.” Però anche lo scoiattolo non rinunciava alla sua ostinata richiesta. Alla fine Bhagavan, sempre gentile e misericordioso con i suoi devoti, si arrese e ricominciò a nutrire lo scoiattolino con le sue mani.Suri Nagamma, una devota aggiunse, ‘Da come ho sempre sperimentato con il Maestro, è attraverso la perseveranza che i suoi devoti conseguono la liberazione’.
Tratto da “Torna al silenzio” DVD vol 4.
Qualsiasi cosa fate, ogni attività, la base su qui si poggia quell'attività, se guardate, è il silenzio.Ogni volta che vi rallegrate per qualche ottenimento, siete felici nel momento dell'ottenimento perché ora la vostra mente si è acquietata perché ha ottenuto qualcosa.Quindi, cercate soltanto il silenzio. E' questo il nostro scopo, è per questo che siamo qui, per stare quieti e osservare il silenzio, anche quando siamo attivi. Sì, potete essere silenziosi anche mentre siete attivi. Il corpo può essere attivo, ma voi potete rimanere in silenzio. Perché se non siete in silenzio non potete nemmeno diventare attivi. Anche il comando di attivare il corpo viene dal silenzio. Se siete consapevoli del silenzio che è sempre il sostrato, sentirete che questa è la vostra natura fondamentale ed è questo che stiamo cercando. E' per il silenzio che cerchiamo di rimanere quieti.L'insegnamento fondamentale di Maharshi era il silenzio, Ramana Maharshi era solo silenzio.
Il vaso immaturo. L’arrendevolezza, la virtù fondamentale
devoto: É possibile parlare con Iswara (Dio) come fece Sri Ramakrishna?Maharshi: Visto che possiamo parlare tra di noi, perché non dovremmo fare altrettanto con Iswara?devoto: Per quale motivo allora non ci riusciamo?Maharshi: Perché sono necessarie purezza e forza mentale, oltre alla pratica della meditazione.devoto: E se sussistono tali condizioni, Dio diventa evidente?Maharshi: Una simile manifestazione è reale quanto la tua stessa realtà. In altre parole, quando identifichi te stesso con il corpo, come nello stato di veglia, vedi oggetti grossolani; quando sei nei corpi sottili o nei piani mentali, come nello stato di sogno, allora intravedi oggetti altrettanto sottili; in assenza di identificazione, come nel sonno profondo, non vedi nulla. Gli oggetti percepiti mantengono una relazione con lo stato del veggente. Lo stesso vale per la visione di Dio. In seguito ad una lunga pratica, la figura di Dio, su cui si è meditato, appare nei sogni e successivamente anche nello stato di veglia.devoto: Ed è questo lo stato della realizzazione di Dio?Maharshi: Ascolta cosa accadde tempo fa.Vithoba, un grande saggio, si rese conto che Namdev (un grande devoto), non aveva ancora realizzato la verità ultima e così volle insegnargliela. Quando Jnaneswar e Namdev tornarono dal loro pellegrinaggio, Gora, il vasaio, diede, nella sua casa, una festa aperta a tutti i santi, compresi Jnaneswar (grande saggio) e Namdev. Durante l’evento, Jnaneswar (che si era già messo d’accordo con Gora stesso), si rivolse a Gora pubblicamente: "Tu sei un esperto vasaio, impegnato ogni giorno a creare vasi e a testarli per verificarne la giusta cottura. Questi vasi davanti a te, i santi qui presenti, sono i vasi di Brahma, il creatore. Valuta tu quali tra essi sono pronti e quali no".Gora rispose: "Certamente, lo farò subito!" e prese così il bastone con il quale era solito battere i suoi vasi per testarne la solidità. Si recò al cospetto di ognuno dei suoi ospiti, colpendoli alla testa così come faceva abitualmente con i suoi vasi. Ciascuno dei presenti si sottomise umilmente al colpo, ma quando Gora si avvicinò a Namdev, quest’ultimo esclamò indignato: "Tu, vasaio, cosa vuoi dire colpendomi con quel bastone?”. Allora, Gora si rivolse a Jnaneswar dicendo: "Swami, tutti gli altri vasi sono stati cotti a dovere; solo questo, ossia Namdev, non è ancora cotto abbastanza". Scoppiarono tutti a ridere! Namdev si sentì profondamente umiliato e scappò via di corsa recandosi da Vitthala (Krishna, la divinità che adorava), con il quale aveva stretto una profonda amicizia, a tal punto da giocare, mangiare e dormire con lui. Namdev cominciò a lamentarsi con Vitthala dell’umiliazione appena subita. Proprio lui che era l’amico e il compagno più intimo di Vitthala! Quest’ultimo -il quale ovviamente era al corrente di tutto- finse di simpatizzare con Namdev, chiedendo ogni dettaglio su quanto accaduto nella casa di Gora. Dopo aver ascoltato attentamente, disse: "Perché non hai mantenuto il silenzio e non ti sei sottomesso al colpo di bastone, come hanno fatto tutti gli altri? È da qui che sono iniziati tutti i tuoi guai!". Namdev scoppiò in lacrime e singhiozzando disse: "Anche Tu vuoi unirti a loro ed umiliarmi? Perché avrei dovuto sottomettermi come tutti gli altri? Non sono forse il Tuo amico più intimo, il Tuo bambino?".Vitthala rispose: "Non hai ancora compreso appieno la verità e, se te la dicessi ora, non la capiresti. Vai da quel santo che vive nella foresta tra le rovine del tempio. Lui potrà indicarti come ottenere la liberazione".Namdev allora si recò al luogo indicato e lì trovò un uomo anziano e strano che dormiva in un angolo del tempio e aveva i piedi sullo Shivalingam (rappresentazione della divinità, Shiva). Namdev non riusciva a credere che quello sarebbe stato il santo da cui lui, il compagno preferito di Vitthala, avrebbe ottenuto la liberazione. Tuttavia, poiché non c’era nessun altro nei paraggi, si avvicinò al santo e batté le mani di colpo. L’uomo si svegliò e vedendo Namdev esclamò: "Oh, tu devi essere Namdev, mandato da Vitthala, entra!".Namdev si sentì perplesso e pensò: "Costui deve essere un grande uomo, perché sa chi sono io".Tuttavia, riteneva inaccettabile che chiunque, per quanto grande, potesse poggiare i piedi sul sacro lingam! Allora chiese al sant’uomo: "Tu sembri un grande essere, ma è appropriato per te tenere i piedi su un lingam?".Il sant’uomo rispose: "Oh, i miei piedi sono su un lingam? Davvero? Dov’è il lingam? Fammi la cortesia, sposta i miei piedi altrove".Namdev rimosse i piedi del santo dal lingam e li poggiò in luoghi diversi, ma ovunque li posasse lì si manifestava un lingam! Alla fine li mise sulle proprie ginocchia e… lui stesso diventò Shivalingam!Realizzò la verità!Il santo gli disse: "Ora puoi tornare a casa".Bhagavan aggiunse: "Sia chiaro che, solo quando finalmente, il devoto si arrese e toccò i piedi del guru, conseguì la liberazione".Namdev tornò a casa e per qualche giorno non si recò più al tempio a trovare Vitthala, nonostante fosse sua abitudine non solo fargli visita quotidianamente, ma anche trascorrere con lui gran parte del tempo. Dopo qualche giorno Vitthala andò lui stesso a cercarlo a casa sua. Con sublime innocenza gli chiese come mai l’avesse dimenticato e non fosse andato più a fargli visita.Namdev rispose: "Non mi faccio più ingannare. Ora so! Dov’è quel luogo in cui Tu non dimori?! Per stare con Te, devo forse venire al tempio? Esisto forse come separato da Te?".Allora Vitthala con commozione disse: "Ora conosci la verità! Per questo motivo ti ho mandato ad imparare la lezione fondamentale… l’arrendevolezza!".
"Tutto è una nozione" tratto da DVD Satsang vol. 9
Papaji insegna come liberarsi dall’illusione creata dal pensiero.“Ogni cosa creata e ogni cosa che vedete è una nozione.Universo, tempo, spazio, uomini, animali, montagne, fiumi, foreste. Tutto è un minuscolo seme-nozione che germoglia appena tocca la consapevolezza. Come liberarsi dalle nozioni? La nozione è un semplice pensiero. È solo un pensiero, il vostro pensiero. E questo pensiero dovrà pur sorgere da qualche parte. Quando il seme-nozione tocca il terreno e germoglia, diventa un albero. Così pure quando la nozione tocca la consapevolezza lì germoglia la mente. Coloro che conoscono il sostrato e da dove sorge la mente, non soffriranno mai. Ma coloro che cominciano dal seme, dalla nozione, e guardano ai rami, ai frutti e ai fiori e alle pene e alle gioie della vita, non faranno altro che soffrire continuamente, perché ignari del sostrato di ogni cosa.”H.W.L. Poonja, chiamato affettuosamente Papaji dai suoi devoti, è nato nel Punjab nel 1910. Nipote di un venerato saggio indiano, Swami Rama Tirtha, a soli 8 anni ebbe una prima rivelazione della verità, che trovò la pienezza definitiva al momento dell’illuminazione verso i 30 anni, in seguito all’incontro con il suo Maestro, gigante della spiritualità, Sri Ramana Maharshi. Ha lasciato il corpo nel settembre del 1997. Autore di “Svegliati e Ruggisci”, “Dialoghi con il Maestro”, “Il Vuoto che Danza”, “Risvegliarsi dal Sogno” e “Il Fuoco della Libertà”, “Ramana Maharshi il mio Maestro”. Papaji, offre l’invito ad ogni sincero ricercatore a risvegliarsi dal sogno mortale realizzando la propria vera natura qui ed ora.
"L’uccellino nella stufa"
Storie di Bhagavan Sri Ramana Maharshi"L’uccellino nella stufa"Bhagavan ricorreva spesso a esempi di vita quotidiana per insegnare la verità. La causa di ogni miseria, a cominciare dall’esperienza della nascita, è aver dimenticato l’origine da cui si proviene. Questo fu spiegato da Bhagavan stesso, per mezzo dell'episodio di un uccellino intrappolato in una stufa.Nella sala dove Bhagavan era solito dare incontri c’era una stufa, chiusa da tutti i lati con una maglia d’acciaio, tranne che dal lato inferiore. E proprio da qui, un giorno, un meraviglioso uccellino, riuscì in qualche modo a entrare rimanendo imprigionato in una condizione del tutto opposta al suo ambiente naturale (il vasto spazio dove poteva volare liberamente). Dall’istante in cui entrò nella stufa, tentò freneticamente di trovare una via d’uscita, ma tutti i suoi sforzi furono vani. Come mai? Perché avendo dimenticato da dove era venuto, tentava ripetutamente di fuggire, ma attraverso ogni via chiusa. Bhagavan prese questa vicenda come esempio, per rivelare una grande verità:"Quest’uccellino ha abbandonato l’intero e immenso spazio, quel cielo naturale che era la sua dimora. È rimasto catturato in questo posto limitato, contrario alla sua natura. Ignorando come uscire da una simile prigione, è agitato e impaurito. Come quest’uccellino, anche le anime hanno rinunciato al loro ‘luogo’ naturale di appartenenza, l’infinito spazio di consapevolezza. Nell’illusione di essere intrappolate nella prigionia del corpo, senza sapere come uscirne, sono tormentate da molteplici sofferenze. I continui sforzi dell’uccellino, per raggiungere il suo naturale luogo di appartenenza, sono vani, poiché sono diretti verso l’alto, la via della schiavitù, invece che verso il basso, la via da cui è venuto. Allo stesso modo, la ragione per cui gli sforzi incessanti delle anime, per conseguire la libertà sono infruttuosi è perché anch’esse sono rivolte all’esterno, la via dell’assoggettamento invece che all’interno, la via da cui provengono. La tendenza naturale dell’uccellino di volare verso l’alto viene seguita perfino nei tentativi di raggiungere la libertà. Allo stesso modo, la tendenza naturale delle anime di vagare verso l’esterno è mantenuta perfino nei loro tentativi di liberarsi. Questa è la tendenza naturale dell’anima. Tuttavia, se attraverso la giusta discriminazione e consapevolezza, l’anima si rivolge all’interno -volgendo la vista dall'esterno verso l’interno- e vi rimane stabilmente, otterrà di certo la liberazione all’istante.Questo singolo insegnamento è di per sé sufficiente per coloro che aspirano con sincerità alla libertà.”
"L’avvertimento di Bhagavan"
Storie di Bhagavan Sri Ramana Maharshi"L’avvertimento di Bhagavan"Un giorno, nella sala, un devoto stava leggendo il giornale a Bhagavan. C'era un articolo su un gruppo di veterinari di Madras (Chennai) che erano in arrivo a Thiruvannamalai per catturare scimmie e consegnarle a vari laboratori di ricerca. All’ascolto della notizia, Bhagavan si voltò verso il branco di scimmie che nel frattempo si era riunito sotto la finestra e le avvertì del pericolo incombente, consigliando loro di rimanere nascoste per tre giorni. Evidentemente capirono le sue parole e il suo ammonimento, giacché nemmeno una scimmia fu avvistata nei diversi giorni successivi.
"La contesa per stare seduti sulle ginocchia di Bhagavan."
Storie di Bhagavan Sri Ramana Maharshi"La contesa per stare seduti sulle ginocchia di Bhagavan."Ai tempi in cui Bhagavan era solito ritirarsi su Arunachala, accadde il seguente episodio:Egli amava i bambini, ammaliato dalla loro innocenza e affascinato dalla più totale assenza di ipocrisia nelle loro menti. La figlia di Kavyakanta Ganapathi Muni, chiamata Vajreswari, che aveva quattro anni, era un’assidua devota di Bhagavan, nonché una rinomata studiosa di sanscrito. Aveva l’abitudine di comportarsi liberamente con Bhagavan e di insistere a sedersi sulle sue ginocchia ogni volta che andava a trovarlo. Bhagavan da parte sua la invitava spesso a stargli accanto, mostrandole tutto il suo affetto con dolci parole, mentre le permetteva di sedersi su di lui.Una volta Vajreswari venne allo Skandasramam e come di consueto salì in grembo a Bhagavan. Mentre quest’ultimo la teneva e le parlava teneramente, una giovane scimmia avanzò verso di loro. La scimmia sembrava quasi gelosa di Vajreswari, a tal punto che la spinse lontana da Bhagavan e prese il suo posto. Vajreswari, di contro, iniziò a piangere e a supplicare: “Manda via questa scimmia, Bhagavan, voglio sedermi io sulle tue ginocchia”. A sua volta, la scimmietta non sembrava affatto disposta a rinunciare a quel posto così privilegiato e continuò a sedersi in grembo a Bhagavan.La lotta tra i due pretendenti divertì Bhagavan che però allo stesso tempo voleva accontentare entrambi. Così si rivolse prima alla scimmia ed esclamò: “Guarda, Vajreswari è tua sorella. Non è forse così? Lascia che anche lei si sieda qui assieme a te. Lasciale un po’ di spazio”. Poi aggiunse, guardando Vajreswari che gli stava accanto: “Non è forse tuo fratello anche lui? Forza su, venite entrambi su di me”.Alla fine, sia la bambina che la scimmia salirono sulle ginocchia di Bhagavan, pienamente soddisfatti e felici l’uno della compagnia dell’altro. Non è forse questa una dimostrazione pratica del grande amore che Bhagavan nutriva per tutti gli esseri, a prescindere dalle loro forme?
"Breve profilo biografico di Bhagavan Sri Ramana Maharshi"
Storie di Bhagavan Sri Ramana Maharshi"Breve profilo biografico di Bhagavan Sri Ramana Maharshi"Erano i giorni attorno al Natale. Il 10 di dicembre i devoti di Siva celebravano I'ardradarsana, il giorno sacro in cui Siva apparve a grandi saggi tra cui Patanjali.Le celebrazioni si svolgevano con grande fasto nella città-tempio di Tiruchuzhi. Nelle prime ore del mattino, mentre la processione in onore di Siva entrava nel tempio di Bhuminateshwara, nasceva Ramana, secondogenito di una coppia molto religiosa, Sundaram Iyer e Azhagammal. Ricevette il nome di Venkataraman.Nei versi autobiografici "Arunachala Ashtakam" ("Otto strofe su Sri Arunachala"), Ramana scrive: "Dall'età dell'innocenza Arunachala rifulse nella mia mente come qualcosa di incomparabile bellezza".Arunachala è la collina sacra di Tiruvannamalai. Benché in forma di collina insenziente, è considerata una manifestazione di Siva, il vincitore della morte. Può darsi che i semi delle domande sul significato della morte fossero stati piantati nella sua mente dal costante pensiero di Arunachala nutrito sin dall'infanzia?Quando Ramana aveva undici anni, il padre morì. Quel giorno, accanto alla madre e ai fratelli in lacrime, Ramana rifletteva sulla morte. Continuò a riflettere per ore dopo la cremazione del corpo. Di fronte al corpo del padre capì che un'altra forza, diversa dal corpo, doveva essere stata responsabile di tutte le attività di quel corpo e di quella mente. L’impatto con la morte della persona cara e la conseguente introspezione avevano portato Ramana molto vicino a comprendere il fenomeno della vita e della morte.Era la metà del mese di luglio del 1896. Ramana frequentava la decima classe alla American Mission School a Madurai, ospite in casa dello zio, Subbier, in Chokkappa Naickan Street, vicino al famoso tempio di Minakshi. Mentre studiava nella sua stanza, venne sopraffatto da una paura assoluta della morte. Per capire che cosa accadde, ascoltiamo le sue parole:“Mi distesi come un cadavere. Sembrava che il mio corpo fosse diventato effettivamente rigido, ma ero ancora cosciente di essere vivo. Così in me sorse la domanda:'Che cos'è questo io?'.Lo avvertivo come una forza o una corrente, un centro di energia che usava il corpo, continuando a funzionare indipendentemente dalla rigidità o dalla mobilità del corpo, e tuttavia in collegamento con esso".Quando si fu saldamente radicato in questa intuizione, la paura della morte scomparve. Da quel momento rimase perpetuamente assorbito in quella corrente, qualunque cosa facesse: che leggesse, parlasse o riposasse.Dopo quell'esperienza, la vita normale non era più possibile. Ramana scivolava spontaneamente in quello che potremmo chiamare samadhi.Un giorno, mentre era alle prese con un esercizio di grammatica inglese ricevuto per castigo, ‘la futilità del compito gli si rivelò con grande evidenza’.Mise da parte il libro di grammatica e si perse nel suo ormai usuale stato beatifico.Quando il fratello maggiore lo rimproverò di trascurare gli studi, Ramana lesse il rimprovero come una chiamata del divino e se ne andò di casa lasciando un foglietto in cui diceva:‘In cerca di mio Padre e in obbedienza al Suo comando, ho iniziato di qui. Ciò che faccio è lanciarmi in un'impresa virtuosa. Perciò, nessuno si dolga’.Dopo molte difficoltà, il primo settembre del 1896 raggiunse Tiruvannamalai e Arunachala.Si recò immediatamente nel tempio e annunciò il suo arrivo dicendo:‘Padre, sono giunto’.Per alcuni mesi successivi rimase totalmente immerso nella stabile beatitudine del Cuore, ignaro degli insetti e dei parassiti che devastavano il suo corpo. Si spostò in vari luoghi della città santa mantenendo sempre il silenzio, benché pronto a elargire guida spiritualese ne veniva richiesto.Un giorno, mentre stava ritornando alla grotta di Virupaksha, sulla collina di Arunachala, ebbe quella che potremmo chiamare la sua seconda esperienza di morte. Questa volta non si trattò solo della paura di morire, ma della morte stessa.Ascoltiamo di nuovo le sue parole:“Improvvisamente il paesaggio davanti a me cominciò a svanire, come ricoperto da un lenzuolo bianco. In un primo momento il processo fu molto graduale, ma presto il paesaggio scomparve del tutto ed io smisi di camminare. Poi riapparve e svanì una seconda volta, lasciandomi così debole che dovetti appoggiarmi alla "Roccia della Tartaruga" per sostenermi.Quando accadde per la terza volta, mi sedetti vicino alla roccia. Guardandomi intorno non vedevo altro che quel lenzuolo bianco. Mi girava la testa e la circolazione e il battito cardiaco cessarono. Il mio corpo cominciava a diventare livido, esattamente come accade ad un corpo morto. Mentre il fenomeno cresceva di intensità, Vasu credette che fossi realmente morto e iniziò a piangere tenendomi stretto. Il cambiamento di colore del mio corpo, la stretta di Vasu, il tremito delle membra, le parole delle persone attorno a me...ero cosciente di tutto ciò e mi rendevo conto che le mie mani e i piedi diventavano freddi, che il mio cuore aveva smesso di battere, ma in me non c'era paura. Il flusso dei pensieri e la coscienza del Sé non si erano arrestati, e non ero preoccupato per lo stato del mio corpo... Improvvisamente l'energia affluì nuovamente. La circolazione sanguigna e il battito cardiaco erano ripresi".La provvidenza l’aveva salvato per i suoi fini, per l'umanità. Benché non fosse avvenuto nessun cambiamento nel suo stato di naturale e spontaneo collegamento con la divinità interiore, il secondo incontro con la morte sembrò segnare, dal punto di vista degli osservatori esterni, l'inizio di una nuova fase di insegnamento spirituale. A poco a poco, Ramana uscì dal suo volontario silenzio.Maharshi dice che quando ci si risveglia ad uno stato di saggezza stabile, l'effetto sul corpo è paragonabile a quello di un enorme elefante che irrompe in una capanna. Tuttavia, sopportò questa croce per anni, sempre con l’identico incantevole sorriso e il suo spontaneo senso di accoglienza. La sua guida trasformatrice ed elargitrice di vita era a disposizione di tutti.Non faceva distinzioni di sorta. Non esistevano 'altri'.Il suo amore era universale e infinito.Il 14 aprile del 1950, Venerdì Santo, entrò nel mahasamadhi.In quello stesso istante, migliaia di persone videro una luce attraversare il cielo, colpire la cima della collina di Arunachala e scomparire dietro di essa, a riprova del fatto che egli è la luce che illumina tutti i cuori.(tratto dal libro Ramana Maharshi consigli per la pratica spirituale Astrolabio)